Nella memoria della provincia ci sono talvolta personaggi curiosi, destinati a restare ai margini della società, eppure di spessore universale, la cui storia sfuma in una sorta di leggenda fragile e fuori dal tempo.
Nato agli albori del Novecento, Natalino cala dalle montagne della Garfagnana fin sulla costa, in una bassa Versilia aspra di contraddizioni. La sua vita sarà legata a una Viareggio popolare, precaria, cenciosa, che appena alle spalle delle luccicanti rotte balneari non può che lottare con ostinazione per sopravvivere. Troppo gracile per uno dei lavori di fatica, troverà nel mestiere di barbiere a domicilio un mezzo di sussistenza, e in sella alla sua bici addobbata di girandole attraverserà le periferie cittadine e i cuori degli uomini.
Figura spesso sopra le righe, intelligente e tormentato, penetrante e imprendibile, dalla fibra forte, piegata sì, ma resistente alle privazioni. Di lui non resterà che una manciata di pensieri sulle mille cartoline che amava tanto scrivere, nonché un ricordo sospeso e intenso, un soffio di poesia salmastra.
Nella sua cifra umana strampalata e indipendente, Natalino custodisce un senso di dignità ormai perduto, e la irriducibile libertà di spirito di un individuo imperfetto, ma caparbio e generoso verso gli altri.
La sua vicenda, in cui si specchia quella di coloro che egli ebbe intorno, racconta una Toscana che non esiste più ma che non va dimenticata, e le esperienze coraggiose delle comunità lucchesi dei preti operai, un tessuto di solidarietà, di silenziosa prossimità agli invisibili, oltre meschinità e pregiudizi.